“Ali”

Aratri

Egli sarà giudice fra le genti e arbitro fra molti popoli. Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione… (profeta Isaia: parola di Dio che ascoltiamo nella Messa di mezzanotte)

Tutti, nessuno escluso, abbiamo incontrato qualcuno che ci ha dato fastidio, ci ha fatto arrabbiare, ci ha preso qualcosa che ci apparteneva… Una piccola pressione su un grilletto, si elimina il cattivo e così aggiustiamo il mondo e viviamo felici e contenti.
Tirare l’aratro è molto più faticoso. Richiede impegno, attenzione, forza, pazienza…
Da quando esiste il mondo (cioè da quando esiste l’uomo che lo abita), gli uomini hanno la tentazione di credere che prima di mettersi ad arare sia meglio far fuori i nemici. Da quando esiste il mondo (cioè da quando Dio si è inventato gli uomini), Dio continua a sognare che gli uomini sappiano coltivarlo ed amarlo amandosi tra di loro.
E noi a che punto siamo della storia?
Andare a Messa a Natale (quella di mezzanotte vale come quella delle 8.30!) significa riconoscere che ad un certo punto della storia Dio stesso ha deciso di essere uomo. E siccome lo ha fatto per davvero (non si è messo a fare “il padreterno” in terra!), lo hanno fatto fuori come tutti quelli che danno fastidio e non possono difendersi. Solo che poi (siccome era Dio per davvero!) la vita ha vinto sulla morte!
Vedere fucili e pensare aratri è credere che Dio si è fatto uomo.
E i fucili oggi sono spesso di carta… o di tasti. Un popolo che decide che un altro popolo muoia in mare o di freddo o di fame, o stritolato da debiti decisi da altri… è un popolo che cammina nelle tenebre!
Trasformare le spade in aratri è avere il sogno di Dio e realizzarlo sulla terra.
Una parola di rabbia può essere sciolta da un sorriso, l’ansia per il guadagno trasformata in desiderio di giustizia, la preoccupazione per la propria immagine in collaborazione leale, il tempo perso davanti alla televisione o con videogiochi infiniti può diventare dono di vicinanza a persone sole, i soldi spesi in cose inutili (compresi molti regali di Natale) si possono trasformare in tablet per ragazzi che vogliono studiare, bollette pagate a famiglie con bambini o anche posto letto per chi non ha nemmeno quello, la differenza tra un’auto normale e un SUV può diventare una (o tante!) bici per chi vuole almeno provare a fare il rider per sopravvivere…
Trasformare ciò che dà morte in “aratro” davvero feconda la terra e permette alla vita di trionfare. Solo se la terra è feconda Dio può nascere sulla terra!
don Lorenzo

Uniti unici gioiosi

Un bambino avvicinabile ci rivela il Signore. Davvero particolare il racconto della nascita di Gesù se pensiamo alle introvabili parole spese per il padre e la madre. Tutto è lasciato alla nostra immaginazione. Invece il testo si sofferma su quegli uomini che si accorgono di lui e lo vanno a trovare. O meglio, sul gruppo dei pastori che nel racconto si muovono in perfetta sintonia quasi fossero un solo corpo: un coro in terra che riflette il coro in cielo degli angeli.
L’evangelista ci mostra una certa simpatia verso questi poveri abitanti dei monti intorno a Betlemme. E anche noi, facciamo fatica ad immaginarceli ladri e senza religione come qualche teologo sostiene. La loro è una esperienza che scava nel profondo delle loro esistenze tanto da far pensare che Gesù, da adulto, li abbia cercati e premiati per il loro amore e fede.
Sono tre le considerazioni che mi colpiscono di questi amici dell’alba della vita di Gesù. La prima è l’unità del loro decidere e muoversi. Quando l’angelo li raggiunge sono attorno alle braci del loro fuoco notturno. Insieme si guardano stupiti. Insieme ragionano. Insieme decidono. Insieme si incoraggiano a partire verso l’evento annunciato. Tanta è la condivisione della vita in queste umili e semplici vite. Ecco il primo augurio: godiamo di essere insieme oggi su questa terra e tra queste case. Godiamo di vivere insieme la fede qui.
La seconda considerazione tocca la loro unicità. Sì, nella notte sono gli unici che vegliando ricevono la gioia dal cielo. Oh, come credono a questa unicità che li fa sentire prediletti per sempre! Non ci sono altri protagonisti quella notte se non loro! E se lo raccontano con tale trasporto che riescono a impressionare Maria, la madre del piccolo, che conserva nel cuore il profumo di quell’incontro speciale e inatteso. Ecco il secondo augurio: teniamoci stretta questa unicità nell’essere toccati dalla fede, nel sapere che è vero che non siamo soli sulla terra ma vive tra noi un Dio che ci vuole bene e ci tiene nel palmo della sua mano.
La terza considerazione è il contatto con la musica del cielo. Se a noi rimane scolpita per sempre nell’animo l’emozione profonda di una musica umana, chissà a loro che effetto avrà fatto sentire il coro degli angeli. Il testo parla di una schiera che ad una sola voce fa risplendere il cielo con il canto del Gloria. Ecco il terzo augurio per la nostra comunità pastorale: liberiamo le nostre voci a distesa unendole nel canto corale che rende gioioso e commovente il nostro incontrarci alla mensa di Gesù.
don Giuseppe

Per le strade di Milano…

Dagli inizi di settembre io, prete della diocesi di Mantova, mi trovo per le strade di Milano a svolgere un servizio per i senzatetto, attraverso la Casa della Carità, la casa voluta dal card. Martini agli inizi del nuovo millennio per far fronte alle esigenze dei più poveri tra i poveri che vivono in mezzo a noi.
Per le strade di Milano si imparano, notte e giorno, molte cose.
Anzitutto a dire GRAZIE!
Ricordo ancora quella serata d’autunno passata sul piazzale della stazione Centrale. Parcheggiato il camper che porta tè caldo, coperte e sacchi a pelo, maglioni e un po’ di cibo, vediamo una donna con una bambina che avrà avuto setto o otto anni distese per terra sul cemento e che cercano di dormire. Non hanno nulla, né coperte, né sacco a pelo. Ci avviciniamo per conoscerle e intuiamo da subito che hanno intenzione di passare la notte fuori: vengono dall’Afghanistan e vogliono andare in Germania il giorno seguente. Poiché la bambina veste solamente una maglietta, dal camper tiriamo fuori un giaccone pesante e glielo diamo. Sul suo volto si stampa un sorriso incredibile che mi commuove. Prima di congedarci quella bambina viene ad abbracciare tutti noi volontari. Mi abbraccia una gamba, tanto lei è piccola, e non la molla più: è il suo modo, avvolto di tenerezza, di esprimere la gratitudine che porta nel cuore.
Per le strade di Milano, tra i senzatetto, si impara a dire grazie. Grazie perché ho un tetto sopra la testa, una casa riscaldata, un pasto ogni giorno, la compagnia di qualche persona cara. Dovrei ricordarmene più spesso anziché lamentarmi alla prima difficoltà. San Paolo scrive ai Corinzi: “Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto?” (1 Cor 4,7).
Per le strade di Milano si impara poi a SAPER PERDERE.
Si impara ad accettare che gli sforzi della nostra carità molto spesso non vanno a buon fine. Incontro Marco, un ex tossicodipendente che vive dentro una tenda in un parco e che ha forti dolori alle gambe, tanto che fa fatica a muoversi. Qui per le strade di Milano quasi tutti hanno problemi di salute abbastanza seri, molti dei quali legati all’alcool che, secondo quanto loro mi raccontano, serve per dimenticare, per isolarsi rispetto alla realtà che si presenta così cruda e, non per ultimo, li aiuta un poco a scaldarsi nel freddo della notte.
Marco entrerebbe volentieri dentro la Casa della Carità, ma non ci sono posti liberi, è tutto pieno, e da quando sono in vigore le norme antiCovid i posti letto si sono dimezzati per garantire il necessario distanziamento. Eppure ne avrebbe così bisogno, anche solo per un po’ di sollievo da quella vita così dura. Mi accorgo che vorrei tanto fare di più ma non posso. Almeno per ora. Mi rendo conto che non sono onnipotente. Una donna di nome Vita, una delle volontarie più esperte dell’unità di strada che segue in particolare i senzatetto con problemi psichiatrici, mi dice che chi possiede deliri di onnipotenza è meglio che non svolga questo servizio!
Che cosa siamo noi? Servitori. San Paolo scrivendo sempre ai Corinzi afferma: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché né chi pianta, né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere” (1 Cor 3,6-7). Signore, solo tu sei onnipotente.
Infine per le strade di Milano si cresce in UMANITÀ.
Tutti i venerdì, fermandoci con l’unità di strada presso un parco cittadino, facciamo visita a dei transessuali brasiliani che siedono sulle panchine e dormono fuori. Fanno “vita di strada”, nel senso più becero del termine. Tuttavia porgendo loro un bicchiere di tè caldo, la conversazione si apre, si prolunga e arriva per alcuni di loro perfino a confidare: “È dura la vita di un transessuale”. Fatico a capire quanto di tutto ciò sia una scelta e quanto sia invece fortemente condizionato dalle circostanze della vita, dalla natura o da altri fattori. Mi è chiaro tuttavia, dai loro racconti, che fin da piccole queste persone hanno avuto una vita aspra, povera di affetti e di riferimenti stabili. E quando entrano nei dettagli della loro storia talvolta si commuovono e scende una lacrima. Per questo, al di là dei pronunciamenti dottrinali della Chiesa, che mi sono chiari, davanti a me c’è solo una PERSONA, e la dignità di figlio di Dio non sarà mai tolta a nessuno per qualsiasi cosa al mondo.
Ringrazio per questa esperienza il Vescovo Marco, che ha creduto nella bontà di quanto portavo nel cuore e mi ha ascoltato. Ringrazio anche i miei confratelli preti mantovani, che con il loro lavoro quotidiano non meno importante, silenzioso e fecondo, mi permettono di realizzare questo servizio, che auspico porti frutto a me come uomo, come prete e alla pastorale della carità nella nostra diocesi.
Infine ringrazio don Lorenzo e don Giuseppe per avermi accolto in parrocchia con generosità e calore.

don Alessandro Franzoni

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