Venerdì 21 maggio
Don Gianni Zappa
Vangelo LUCA 15, 1 – 7
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola:
«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
IL CONFESSIONALE
Adesso passiamo allo spazio del confessionale, dove la verità ci fa liberi.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci fa vedere il confessionale come un luogo in cui la verità ci rende liberi per un incontro. Dice così: «Celebrando il sacramento della Penitenza, il sacerdote compie il ministero del buon pastore che cerca la pecora perduta, quello del buon Samaritano che medica le ferite, del padre che attende il figlio prodigo e lo accoglie al suo ritorno, del giusto giudice che non fa distinzione di persone e il cui giudizio è ad un tempo giusto e misericordioso. Insomma, il sacerdote è il segno e lo strumento dell’amore misericordioso di Dio verso il peccatore». E ci ricorda che «il confessore non è il padrone, ma il servitore del perdono di Dio. Il ministro di questo sacramento deve unirsi all’intenzione e alla carità di Cristo».
Segno e strumento di un incontro. Questo siamo. Attrazione efficace per un incontro. Segno vuol dire che dobbiamo attrarre, come quando uno fa dei segni per richiamare l’attenzione. Un segno dev’essere coerente e chiaro, ma soprattutto comprensibile. Perché ci sono segni che sono chiari solo per gli specialisti, e questi non servono. Segno e strumento. Lo strumento si gioca la vita nella sua efficacia -serve o non serve? -, nell’essere disponibile e incidere nella realtà in modo preciso, adeguato. Siamo strumento se veramente la gente si incontra con il Dio misericordioso. A noi spetta “far che si incontrino”, che si trovino faccia a faccia. Quello che poi faranno è cosa loro. C’è un figlio prodigo nel porcile e un padre che tutte le sere sale in terrazza per vedere se arriva; c’è una pecora perduta e un pastore che è andato a cercarla; c’è un ferito abbandonato al bordo della strada e un samaritano che ha il cuore buono. Qual è, dunque, il nostro ministero? Essere segni e strumenti perché questi si incontrino. Teniamo ben chiaro che noi non siamo né il padre, né il pastore, né il samaritano. Piuttosto siamo accanto agli altri tre, in quanto peccatori. Il nostro ministero dev’essere segno e strumento di tale incontro. Perciò ci poniamo nell’ambito del mistero dello Spirito Santo, che è Colui che crea la Chiesa, Colui che fa l’unità, Colui che ravviva ogni volta l’incontro.
L’altra cosa propria di un segno e di uno strumento è di non essere autoreferenziale, per dirlo in maniera difficile. Nessuno si ferma al segno una volta che ha compreso la cosa; nessuno si ferma a guardare il cacciavite o il martello, ma guarda il quadro che è stato ben fissato. Siamo servi inutili. Ecco, strumenti e segni che furono molto utili per altri due che si unirono in un abbraccio, come il padre col figlio.
La terza caratteristica propria del segno e dello strumento è la loro disponibilità. Che sia pronto all’uso lo strumento, che sia visibile il segno. L’essenza del segno e dello strumento è di essere mediatori, disponibili. Forse qui si trova la chiave della nostra missione in questo incontro della misericordia di Dio con l’uomo. Probabilmente è più chiaro usare un termine negativo. Sant’Ignazio parlava di “non essere impedimento”. Un buon mediatore è colui che facilita le cose e non pone impedimenti. La gente non si avvicina quando vede il suo pastore molto, molto occupato, sempre impegnato.
Papa Francesco Giubileo dei sacerdoti