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2021-05-12

Mercoledì 12 maggio

Mons. Giovanni Giavini

Misteri Dolorosi

Vangelo GIOVANNI 15,1 – 9

«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.

RIMANERE IN GESÙ

L’allegoria della vera vite, che abbiamo appena ascoltato dal Vangelo di Giovanni, si colloca nel contesto dell’Ultima Cena di Gesù. In quel clima di intimità, di una certa tensione ma carica di amore, il Signore lavò i piedi dei suoi, volle perpetuare la sua memoria nel pane e nel vino, e inoltre parlò dal profondo del suo cuore a quelli che più amava.

In quella prima sera “eucaristica”, in quel primo tramonto del sole dopo il gesto di servizio, Gesù apre il suo cuore; consegna loro il suo testamento. E permettetemi di proporvi tre modi di rendere effettivo questo rimanere, che vi possono aiutare a rimanere in Gesù.

  1. Rimaniamo in Gesù toccando l’umanità di Gesù

Con lo sguardo e i sentimenti di Gesù, che contempla la realtà non come giudice, ma come buon samaritano; che riconosce i valori del popolo con cui cammina, come pure le sue ferite e i suoi peccati; che scopre la sofferenza silenziosa e si commuove davanti alle necessità delle persone, soprattutto quando queste si trovano succubi dell’ingiustizia, della povertà disumana, dell’indifferenza, o dell’azione perversa della corruzione e della violenza.

Con i gesti e le parole di Gesù, che esprimono amore ai vicini e ricerca dei lontani; tenerezza e fermezza nella denuncia del peccato e nell’annuncio del Vangelo; gioia e generosità nella dedizione e nel servizio, soprattutto ai più piccoli, respingendo con forza la tentazione di dare tutto per perduto, di accomodarci o di diventare solo amministratori di sventure. Quante volte ascoltiamo uomini e donne consacrati, che sembra che invece di amministrare gioia, crescita, vita, amministrano disgrazie, e passano il tempo a lamentarsi delle disgrazie di questo mondo. È la sterilità, la sterilità di chi è incapace di toccare la carne sofferente di Gesù.

  1. Rimaniamo contemplando la sua divinità

Suscitando e sostenendo la stima per lo studio che accresce la conoscenza di Cristo, perché, come ricorda sant’Agostino, non si può amare chi non si conosce. Privilegiando per questa conoscenza l’incontro con la Sacra Scrittura, specialmente con il Vangelo, dove Cristo ci parla, ci rivela il suo amore incondizionato al Padre, ci contagia la gioia che sgorga dall’obbedienza alla sua volontà e dal servizio ai fratelli. Rimanere e contemplare la sua divinità facendo della preghiera la parte fondamentale della nostra vita e del nostro servizio apostolico.

  1. Infine, occorre rimanere in Cristo per vivere nella gioia. Terzo: rimanere per vivere nella gioia.

Se rimaniamo in Lui, la sua gioia sarà in noi. Non saremo discepoli tristi e apostoli avviliti. Al contrario, rifletteremo e porteremo la gioia vera, quella gioia piena che nessuno potrà toglierci, diffonderemo la speranza di vita nuova che Cristo ci ha donato. La chiamata di Dio non è un carico pesante che ci toglie la gioia. E’ pesante? A volte sì, però non ci toglie la gioia. Anche attraverso questo peso ci dà la gioia.

Papa Francesco viaggio in Columbia 2017