“Ali”

Fratello escluso

Pasqua rossa

Domani sera in Consiglio Pastorale (rigorosamente online) parleremo di come celebrare la Pasqua quest’anno. Ovviamente tutti speriamo che l’esperienza dell’anno scorso sia ormai un ricordo passato che non si ripeta mai più nella vita, ma intanto da domani siamo in zona rossa.
Dovrebbe essere un collegamento facilissimo (degno di L’Eredità) quello con qualcos’altro di rosso.
Il Mar Rosso per un cristiano non può far venire in mente come prima cosa Sharm el-Sheikh o qualche altra località balneare!
Dovrebbe essere, almeno quanto per un Ebreo, un riferimento esistenziale: un fatto, un avvenimento della nostra storia, che ci costituisce. Lì siamo nati.
L’identità di un popolo passa attraverso la consapevolezza che si tramanda di padre in figlio di essere stati salvati: potevamo essere tutti morti quella volta lì… e invece Dio ci ha salvati!
La pandemia dalla quale speriamo di uscire al più presto ci dovrebbe rendere più capaci di celebrare la Pasqua, di cantare la gioia di essere vivi. Ma non solo: la gioia e la fierezza di essere un popolo! Non possiamo ringraziare singolarmente perché “non è toccato a noi”… piuttosto celebrare il dono di Dio che salva tutti gratuitamente e senza alcun merito, se non quello di essere un popolo che crede in lui.
Prepariamoci ad una Pasqua meravigliosa.
Meravigliosamente nuova!
dL

“Celo, celo, manca, celo, manca”: era questo il ritornello che si sentiva all’uscita di scuola. Lo si ripeteva sfogliando il mazzetto di figurine dei calciatori. Figurine che avevamo (celo = ce l’ho) e quelle che ci mancavano (manca) per completare la raccolta nell’apposito album.
Ci sono esperienze di vita che abbiamo e altre che ci mancano: un album incompleto. Per esempio, c’è qualcuno che non si è mai sentito escluso, lasciato fuori, non ammesso?
I fatti di cronaca di questi giorni riferiscono di esclusioni celebri: da Sanremo e dalla Champions League. Ma si può essere esclusi anche dalla eredità di famiglia, dai test di medicina. I più giovani, invece, tremano all’idea di essere esclusi dalle chat di classe o dal gruppo di amici, dalle feste di compleanno e dai giochi di squadra. Chi può dire cosa faccia più male? I Sioux avevano un proverbio molto interessante: “prima di giudicare una persona cammina tre lune nelle sue scarpe”. Si riferivano al fatto che giudicare è molto facile, capire è un po’ più difficile.
Il fatto è che certe volte siamo anche noi ad escludere fratelli e sorelle che ci vivono accanto: “Puzza! ”, “È  strano!”, “Ha il velo!”, “È nera!”.
Come ci ricorda anche Papa Francesco, non c’è futuro nella separazione, nel diabolico atto di escludere, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza dell’umanità.
Diavolo dal termine greco, diábolos, “dividere”, “colui che divide”. Fatiche e Tentazioni del deserto di città in questa quaresima. Celo, celo.
Barbara Giussani

Francesco

C’è un riconoscimento basilare, essenziale da compiere per camminare verso l’amicizia sociale e la fraternità universale: rendersi conto di quanto vale un essere umano, quanto vale una persona, sempre e in qualunque circostanza. Se ciascuno vale tanto, bisogna dire con chiarezza e fermezza che «il solo fatto di essere nati in un luogo con minori risorse o minor sviluppo non giustifica che alcune persone vivano con minore dignità». Questo è un principio elementare della vita sociale, che viene abitualmente e in vari modi ignorato da quanti vedono che non conviene alla loro visione del mondo o non serve ai loro fini.

Tu no!

Scorro velocemente le offerte di lavoro che la San Vincenzo segnala ai centri d’ascolto. Mi soffermo su proposte che, a prima vista, sembrano accessibili alle persone senza lavoro che vengono in Parrocchia a chiedere aiuto.
Anche per le occupazioni più semplici si chiedono prerequisiti escludenti.  Leggo: conoscenza lingua inglese, si richiede diploma, patente per il muletto, persona automunita, buone conoscenze informatiche…
A volte persone segnalate che conosciamo arrivano ad ottenere un appuntamento per un colloquio. Sembra andato bene… ma un’ultima domanda fa cadere il sipario: “lei ha figli?”. Esistono leggi scritte e leggi non scritte. In teoria massima protezione, in pratica nessun lavoro.
Le esclusioni non finiscono qui. C’è chi non può uscire di casa perché anziano e malato e chi ha paura di farlo perché si sente perennemente pedinato ed è preso da attacchi di panico negli spazi aperti. Fratelli senza colpa.
C’è chi cerca casa, magari per un ricongiungimento familiare, ha un buon reddito, documenti in regola e persino la caparra di tre mesi anticipata ma… è straniero e, come se non bastasse, ha la pelle scura. In questi frangenti le case sfitte si preferisce che restino tali.
Poi ci sono mamme con figli a carico, tradite negli affetti più cari, abbandonate dal marito perché si è innamorato di un’altra e non si sa più dove sia. Allora ci si fa ospitare a casa di un’amica, poi di una sorella, poi da un vicino di casa. C’è una verità crudele racchiusa in un proverbio ormai internazionale “l’ospite è come un pesce: dopo tre giorni puzza”. La disperazione è rimandata perché ci sono i figli, ma stanno finendo tutte le risorse.
Non ultima la didattica a distanza anche per i più piccoli. Tra le nostre famiglie esistono gli esclusi dalla DAD. La rete non regge, tablet telefono e pc mancano. Anche la mensa scolastica è chiusa. Occorre provvedere.
Chi ascolta non sa che dire… ma ha il dovere di testimoniare che i pregiudizi ci sono, che esiste la paura e l’ ingiustizia. Questi atteggiamenti portano le persone fragili ad essere collocate nella categoria   degli emarginati impossibilitati a cambiare la propria condizione.
Chi ascolta ha un sogno: aiutare a restituire dignità. È il Vangelo ad insegnarcelo.Noi a Cenerentola consiglieremmo un corso di economia domestica ma il Principe, invece, la sposa!

Forse anche tu…

…hai un appartamento che potresti affittare, ma non ti fidi di sconosciuti che poi magari te lo devastano e non sai più come fare a mandare via. Forse lo stai affittando a “prezzi di mercato”, che in realtà corrispondono a tutto lo stipendio dell’inquilino.

Forse anche tu…

…hai il desiderio di fare qualcosa per chi sta male, ma non sai come fare.  Senti che non solo viviamo nell’ingiustizia, ma che di fatto la provochiamo.
Forse anche tu vuoi (e puoi!) uscire dal solito schema della tua vita, “toccare” qualche “intoccabile” e accorgerti della bellezza di scoprirsi davvero fratelli.

Francesco

Ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità e a svilupparsi integralmente, e nessun Paese può negare tale diritto fondamentale. Ognuno lo possiede, anche se è poco efficiente, anche se è nato o cresciuto con delle limitazioni; infatti ciò non sminuisce la sua immensa dignità come persona umana, che non si fonda sulle circostanze bensì sul valore del suo essere. Quando questo principio elementare non è salvaguardato, non c’è futuro né per la fraternità né per la sopravvivenza dell’umanità.
Vi sono società che accolgono questo principio parzialmente. Accettano che ci siano opportunità per tutti, però sostengono che, posto questo, tutto dipende da ciascuno. Secondo tale prospettiva parziale non avrebbe senso «investire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o i meno dotati possano farsi strada nella vita». Investire a favore delle persone fragili può non essere redditizio, può comportare minore efficienza. Esige uno Stato presente e attivo, e istituzioni della società civile che vadano oltre la libertà dei meccanismi efficientisti di certi sistemi economici, politici o ideologici, perché veramente si orientano prima di tutto alle persone e al bene comune.

 

Da “Patris corde”

di papa Francesco

Padre nella tenerezza

Giuseppe vide crescere Gesù giorno dopo giorno «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52). Come il Signore fece con Israele, così egli “gli ha insegnato a camminare, tenendolo per mano: era per lui come il padre che solleva un bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per dargli da mangiare” (cfr Os 11,3-4).
Gesù ha visto la tenerezza di Dio in Giuseppe: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso quelli che lo temono» (Sal 103,13).
Giuseppe avrà sentito certamente riecheggiare nella sinagoga, durante la preghiera dei Salmi, che il Dio d’Israele è un Dio di tenerezza, che è buono verso tutti e «la sua tenerezza si espande su tutte le creature» (Sal 145,9).
La storia della salvezza si compie «nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18) attraverso le nostre debolezze. Troppe volte pensiamo che Dio faccia affidamento solo sulla parte buona e vincente di noi, mentre in realtà la maggior parte dei suoi disegni si realizza attraverso e nonostante la nostra debolezza. È questo che fa dire a San Paolo: «Affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”» (2 Cor 12,7-9).
Se questa è la prospettiva dell’economia della salvezza, dobbiamo imparare ad accogliere la nostra debolezza con profonda tenerezza.
Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, lo Spirito invece la porta alla luce con tenerezza. È la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi. Il dito puntato e il giudizio che usiamo nei confronti degli altri molto spesso sono segno dell’incapacità di accogliere dentro di noi la nostra stessa debolezza, la nostra stessa fragilità. Solo la tenerezza ci salverà dall’opera dell’Accusatore (cfr Ap 12,10). Per questo è importante incontrare la Misericordia di Dio, specie nel Sacramento della Riconciliazione, facendo un’esperienza di verità e tenerezza. Paradossalmente anche il Maligno può dirci la verità, ma, se lo fa, è per condannarci. Noi sappiamo però che la Verità che viene da Dio non ci condanna, ma ci accoglie, ci abbraccia, ci sostiene, ci perdona. La Verità si presenta a noi sempre come il Padre misericordioso della parabola (cfr Lc 15,11-32): ci viene incontro, ci ridona la dignità, ci rimette in piedi, fa festa per noi, con la motivazione che «questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (v. 24).
Anche attraverso l’angustia di Giuseppe passa la volontà di Dio, la sua storia, il suo progetto. Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca. A volte noi vorremmo controllare tutto, ma Lui ha sempre uno sguardo più grande.

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