1646 anni dopo, succede ancora oggi (unico caso al mondo!) che il Vescovo di Milano raduni tutte le autorità civili e politiche e faccia loro un discorso.
Caso unico è anche il fatto che si festeggi il santo nel giorno della sua ordinazione episcopale.
Riflettere sul modo in cui Ambrogio fece il vescovo e del rapporto tra i poteri del suo tempo sarebbe molto complesso. Constatare, invece, come diventò vescovo mi commuove sempre. E credo che abbia molto da dirci anche oggi.
Fanciullo o non fanciullo, Ambrogio è stato acclamato da popolo. E quando un popolo sa esprimere il suo volere, non c’è potente che possa opporsi.
Ma la cosa incredibile è che il popolo non lo scelse per la sua “spiritualità” o devozione (non era nemmeno battezzato!), bensì per le sue qualità umane e per la “capacità persuasiva della pace e del bene comune”; per la sua “giustizia”!
Cosa avrà mai voluto dire, infatti, Gesù quando disse: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.”?!
Quanto abbiamo bisogno oggi che chi ci governa – nello Stato e nella Chiesa! – abbia “fame e sete di giustizia” (a costo di essere perseguitato)!
Direi che “Sant’Ambrogio” può e deve significare qualcosa di più che mercatino e primo weekend sulla neve!
dL
Sant’Ambrogio
Ambrogio nacque da famiglia romana a Trèviri nelle Gallie, città allora residenza imperiale, dove il padre esercitava le alte funzioni di prefetto del pretorio. Terminati a Roma gli studi, ricevette dal prefetto Probo l’incarico di recarsi a Milano come governatore della provincia di Liguria ed Emilia. Proprio in quel tempo morì il vescovo ariano Aussenzio e tra il popolo cristiano si accese una violenta discordia in merito alla scelta del successore. Ambrogio si recò allora – com’era dovere della sua carica – alla chiesa, per sedare il tumulto: qui parlò a lungo e con grande capacità persuasiva della pace e del bene comune. L’impressione sui presenti fu enorme. Si dice che a quel punto improvvisamente risuonò nell’assemblea l’esclamazione di un fanciullo «Ambrogio vescovo!», e che tutto il popolo si unì a quella voce e acclamò concorde «Ambrogio vescovo!», designando in tal modo con scelta unanime il governatore quale proprio pastore. Di fronte al rifiuto e alla resistenza di Ambrogio, il desiderio ardente del popolo fu sottoposto all’imperatore Valentiniano, che si mostrò ben contento che il vescovo fosse stato scelto tra i magistrati da lui nominati. Lietissimo fu pure il prefetto Probo che, quasi profetizzando, aveva detto ad Ambrogio al momento della partenza: «Va’, e comportati non come giudice, ma come vescovo». Coincidendo pertanto la volontà dell’imperatore col desiderio del popolo, Ambrogio venne battezzato (era infatti solo catecumeno), e iniziato nei giorni successivi al sacro ministero. Otto giorni dopo il battesimo, precisamente il 7 dicembre dell’anno 374, ricevette l’ordinazione episcopale.
(Dalla lettura agiografica liturgica)
Gesti che parlano
“Ma in questo periodo vai in ufficio, Chiara?” “No, esco solo per partecipare alle attività caritative della mia Comunità. Sai, aiutiamo le persone in difficoltà…”. È iniziata così una normale chiacchierata alla fine di una video-chiamata di lavoro.
Vado avanti a parlare per qualche minuto, racconto cosa si fa di solito e di come il Covid ha cambiato tutto. Dall’altra parte della fotocamera, Z. mi ascolta con attenzione e mi fa qualche domanda.
Z., amica cinese, viene da uno small village (parole sue) di 900.000 abitanti a un paio di ore di treno da Pechino, studia in Italia da 5 anni e ancora non parla la nostra lingua. Capita spesso che ci confrontiamo su usi e costumi dei nostri Paesi.
A un certo punto abbassa la testa, sta pensando. Quindi, con estrema serietà, alza lo sguardo e dice: “In Cina se qualcuno ha bisogno è lo Stato che aiuta, non credo che ci siano Comunità come la tua che sostengono i bisognosi”. Le rispondo che anche in Italia ci sono i servizi sociali e che le comunità come la nostra interagiscono con le organizzazioni statali. Mi chiede se i fondi provengono più dallo Stato o più dalle offerte: no, sono principalmente le offerte che raccogliamo nella cassetta in chiesa.
“Ma c’è un modo per fare un’offerta anche senza venire lì?” “Sì, dal sito internet della Comunità… Ma, Z., non ti ho raccontato tutto questo per chiederti dei soldi!” “Io però voglio fare una donazione. Molte persone italiane mi hanno aiutato da quando sono qui: voglio ricambiare il favore. Io sono timida e non riesco a dare una mano di persona, però voglio fare la mia parte”. Non serve aggiungere altro. Chiara C.
[N.d.r. l’offerta è effettivamente arrivata]
Quarta settimana: AVVERTIMENTO “Tendi LA TUA mano al povero”
Se non tendiamo le nostre mani al povero, molto facilmente le tendiamo ad altro che non è il bene per la nostra e altrui esistenza. Ci sono molti esempi di egoismo e disinteresse che vanno denunciati ed eliminati…
“Tendi la mano al povero” fa risaltare, per contrasto, l’atteggiamento di quanti tengono le mani in tasca e non si lasciano commuovere dalla povertà, di cui spesso sono anch’essi complici. Ci sono, infatti, mani tese per sfiorare velocemente la tastiera di un computer e spostare somme di denaro da una parte all’altra del mondo, decretando la ricchezza di ristrette oligarchie e la miseria di moltitudini o il fallimento di intere nazioni. Ci sono mani tese ad accumulare denaro con la vendita di armi che altre mani, anche di bambini, useranno per seminare morte e povertà. Ci sono mani tese che nell’ombra scambiano dosi di morte per arricchirsi e vivere nel lusso e nella sregolatezza effimera. Ci sono mani tese che sottobanco scambiano favori illegali per un guadagno facile e corrotto. E ci sono anche mani tese che nel perbenismo ipocrita stabiliscono leggi che loro stessi non osservano (Francesco).
Continuiamo a mandare tanti “Buoni per il Pane”!
Alle nostre catechiste!
Suor Enrica Serena alcuni giorni fa ha predicato a noi sacerdoti un breve ritiro in preparazione del Natale. “L’angelo dice ai pastori: «Questo per voi un segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia». Se questo è il nostro Re, commenta la suora di clausura, tale sarà il suo Regno! Perché dovremmo aspettarci altro?”. Come a dire: se Gesù è presentato nella povertà, piccolezza, fragilità e umiltà, non possiamo immaginarci qualcosa di “diverso” per il suo Regno. E noi invece, ci muoviamo spesso per costruire un Regno con caratteristiche più promettenti di una stalla e più decorose di una grezza fasciatura in mezzo al fieno! Mi ha colpito la profonda riflessione di questa donna avvolta nel silenzio francescano, qui a due passi da noi nel convento di santa Chiara. È il messaggio più vero del Natale. Il Regno di Gesù su questa terra è come lui: stile irrilevante, ma solo apparentemente, umile fino alla povertà e semplice nel suo incanto.
L’irrilevanza (solo apparente). Chi ha accolto il mandato di catechista nella nostra comunità conosce questa ferita. Nel percorso dell’iniziazione, tra le famiglie delle nostre parrocchie si costruisce un dialogo fatto di disponibilità e costanza e spesso nascono amicizie e buone relazioni ma non è raro accorgersi anche di altro. Per esempio la fatica di ascoltare che c’è sempre una priorità data altrove rispetto al catechismo. È meraviglioso allora vedere come le nostre catechiste “inseguano” la vita così complessa dei genitori e cerchino in tutti i modi di far arrivare la voce di Gesù nel cuore dei bambini. Grazie per questa tensione educativa. Grazie per la tenacia che non demorde. Solo apparentemente si è irrilevanti, perché il cuore certamente è contagiato dallo Spirito di Dio che sa come far breccia, perché potente nell’amore.
L’umiltà. Il Regno di Dio non si impone a nessuno: è sempre un appello alla libertà, è un invito! Quello che sta accadendo in queste settimane è un capolavoro di creatività. In presenza non si può, allora si apre una nuova strada. Messaggi che bussano tutte le mattine nelle case. Idee e spunti di riflessione che danzano sul web per atterrare in gesti concreti e formativi per l’intera famiglia. Il Calendalbero e la messa delle 12.00 stanno ad indicare quella umiltà che attraversa lo stile delle catechiste pronte a nuovi spunti, ad ulteriori passi.. alla gioia di mezzi “poveri” ma vissuti con amorevolezza e amabilità. Grazie e continuate a stupirci!
La semplicità. Spesso le persone che vengono interpellate per “diventare” catechiste in prima battuta rispondono con un “non sono all’altezza”. È un compito serio: è vero! Ma l’esperienza racconta di come propriamente non sei tu ad evangelizzare i ragazzi, sono loro a svelarti il Vangelo nelle sue profondità. Si impara molto nel raccontare Gesù: sì! Più che insegnare, nell’essere catechista ci si incanta davanti ai cuori puri e semplici dei bambini. Ecco la semplicità nel diventare amici, nell’entrare in confidenza, nel conoscere la storia personale di ciascuno. Grazie alle nostre catechiste. Davvero tanta roba!