Vita

La sera di Nicodemo 5

Adorazione della croce – Venerdì 03 aprile 2020

Quando l’ora è giunta
– e fu l’ora della croce
e della morte –
noi siamo fuggiti.
Ti chiediamo perdono
ancora una volta
della nostra viltà:
noi abbiamo paura
di un amore che si concede
fino alla morte. 

Ti chiediamo perdono
della nostra poca fede:
volevamo
che tu salvassi gli uomini,
misurandoti coi progetti
degli uomini,
non credevamo
all’energia prodigiosa
che sarebbe scaturita
dalla tua obbedienza filiale;
non credevamo
all’amore sconfinato,
con cui il Padre crea,
protegge,
salva
e rinnova la vita di ogni uomo.

ATTIRERO’ TUTTI A ME

Carlo Maria Martini

Il desiderio di concretezza e di dialogo nell’esercizio della carità mi conduce a rileggere il cap. 25 del vangelo di Matteo. La parola biblica, che talvolta è complessa, qui diventa semplicissima, essenziale, tagliente. Viene descritto il giudizio finale, che avrà come unico criterio l’esercizio concreto della carità. Qualcuno ha parlato di pagina laica, perché non ci sono accenni alla fede, alla preghiera, al culto. I giusti non sanno nemmeno di aver soccorso il Signore stesso nei bisognosi: “Signore, ma quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo incontrato forestiero e ti abbiamo ospitato nella nostra casa, o nudo e ti abbiamo dato i vestiti? Quando ti abbiamo visto malato o in prigione e siamo venuti a trovarti?” (Mt 25, 37-39) Quello che conta sembra essere qui il puro gesto materiale di aiuto all’affamato, all’assetato, al forestiero, all’ignudo, al malato, al carcerato. Matteo scrisse il suo vangelo per una comunità che era tentata di parole vuote, di entusiasmi superficiali, senza impegnarsi seriamente nelle opere della carità. Di qui l’invito a non accontentarsi di dire “Signore, Signore”, ma a fare concretamente la volontà del Padre e a mettere in pratica la parola del Signore. Anche la pagina del giudizio finale va letta in questa prospettiva di realismo, di operosa concretezza. Da questo punto di vista non c’è opposizione tra le opere della carità e le pratiche del culto. Se quello che veramente conta è l’intenso realismo nell’esercitare la carità, proviamo a pensare alla forte spinta verso la concretezza che il credente riceve da una vita di culto sinceramente praticata. Quando un cristiano, professando esplicitamente la fede e celebrando gli atti liturgici, si rende conto dell’immensa carità che Cristo ha per lui e per ogni uomo, non può rimanere indifferente. Vuole anch’egli spendersi totalmente per i fratelli. Questo desiderio ispirato dalla fede entra in risonanza con altri desideri spontanei o riflessi che noi proviamo dinanzi ai problemi dei nostri fratelli. I loro bisogni ci commuovono. Le loro povertà ci spingono a privarci di qualcosa per soccorrerli. I torti e le ingiustizie, che essi subiscono, suscitano in noi dispiacere, sdegno, condanna per chi compie l’ingiustizia, lotta contro la violenza, impegno per rinnovare profondamente la società. I motivi suggeriti dalla fede e i motivi provenienti dai nostri naturali sentimenti si rafforzano reciprocamente verso un’operosità sempre più realistica e costante. Così, almeno, dovrebbe accadere. Purtroppo non sempre accade così. Spesso i credenti si riempiono la bocca di parole, ma non fanno la volontà del Padre, mentre è possibile trovare realismo, concretezza, impegno fraterno, implicita corrispondenza ai desideri di Dio in chi non ha esplicitamente con Dio un rapporto di fede e di culto. Vorrei dire ai credenti: “Riveliamo il volto paterno di Dio con le opere della carità fraterna. La fede nel Dio salvatore, redentore, liberatore ci dia il coraggio di stare a fianco ad ogni povertà, sofferenza, ingiustizia, con la sincera, operosa, illuminata volontà di cambiare le cose”.

PASSIONE  DI GESU’ SECONDO MARCO

 

33Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. 34Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». 35Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». 36Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere». 37Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.

38Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. 39Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».

40Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, 41le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.

42Venuta ormai la sera, poiché era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato, 43Giuseppe d’Arimatea, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anch’egli il regno di Dio, con coraggio andò da Pilato e chiese il corpo di Gesù. 44Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se era morto da tempo. 45Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe.

46Egli allora, comprato un lenzuolo, lo depose dalla croce, lo avvolse con il lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare una pietra all’entrata del sepolcro. 47Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto.

Lettera agli Ebrei

Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, 2tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.

3Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.