Non ci sono immagini più inappropriate (e direi ridicole!) di quelle che cercano di ritrarre Gesù risorto che esce dalla tomba. Saranno anche capolavori artistici, ma sono davvero antievangeliche e tendenzialmente contrarie alla nostra fede! Nessuno degli evangelisti racconta la resurrezione, piuttosto le apparizioni del risorto e lo stupore dei discepoli nel vederlo mangiare e bere con loro… Perché non dipingere Gesù indaffarato “ai fornelli” che prepara i pesci alla brace per i suoi amici per raffigurare il risorto?! Questo è quello che ci racconta il vangelo! Perché mai, invece, rappresentarlo con una bandiera in mano e magari galleggiante su qualche nuvoletta e attorniato da angeli che danno fiato alle trombe?! Perché? È una domanda seria.
La probabile risposta sta nel fatto che quando parliamo (giustamente!) della vittoria di Gesù sulla morte ce la immaginiamo (erroneamente!) come le nostre illusorie vittorie in cui chi vince schiaccia chi perde (e lo uccide). Per noi il vincitore è chi annienta il nemico, gli dà la morte. Ma per sconfiggere la morte occorreva fare proprio il contrario: chi vince fa vivere anche il suo nemico! Ecco perché Gesù muore perdonando, dopo aver predicato di amare i nemici…
E c’è un fatto che Gesù vuole vivere con i suoi discepoli l’ultima sera trascorsa con loro: consegnare la sua vita! Perché sappiano bene che nessuno gliel’ha tolta, ma lui l’ha donata. I gesti e le parole di quella cena li conosciamo bene… “Prendete e mangiate” lo ripetiamo abbastanza spesso (se non altro, sanno tutti di che si tratta), ma l’evangelista Giovanni ci ha raccontato che la stessa consegna Gesù l’ha fatta anche compiendo un altro gesto: alzandosi da tavola, prendendo asciugamano e catino e passando a lavare i piedi… E le parole sono forti e chiare, non lasciano spazio a fraintendimenti: “anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri” (dovete!), “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”.
Chi segue Gesù sa che non potrà mai più illudersi di vincere sguainando la spada e schiacciando la testa dell’altro, ma chinandosi a lavargli i piedi. Ma c’è di più! “Gli uni gli altri” quattro volte. Con quel gesto e quelle parole Gesù ci consegna un altro segreto delicatissimo: nemmeno nell’amare puoi essere vincitore! Se tu amassi come chi dall’alto della sua bravura, ricchezza, forza, bontà… si china verso chi è povero per “fare del bene”, avresti davvero rinnegato l’amore! L’amore esige di essere vicendevole: gli uni gli altri. Lasciati lavare i piedi, altrimenti non avrai parte! Non nascondere la tua debolezza!
Quel che accade in quella cena è già anticipazione di quel che accadrà nelle ore successive: Gesù risorto lava i piedi, perché questo fa vivere. E se noi siamo risorti con lui… ci laviamo i piedi gli uni gli altri perché non siamo trionfatori, ma eternamente e immensamente bisognosi di tenerezza.
Come ci guarda oggi “il mondo”? Per secoli abbiamo ostentato l’immagine (falsa!) del risorto “trionfatore” e quella (devastante!) della chiesa trionfante… sarà ora di credere alle parole di Gesù?! Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri.
Cari amici per “dipingere” Gesù risorto, non c’è modo migliore che lavarsi i piedi gli uni gli altri! E lui stesso ci assicura che questo lo capiscono tutti! Buona resurrezione!
don Lorenzo
Sempre da capo
La strada dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)
Nei mesi scorsi mi è tornato tra le mani un vecchio disegno, ricevuto in dono nel 1963 quando ero seminarista.
Allora avevo molta più passione per la pittura e, questa passione, mi aveva spinto a organizzare una mostra, dove il pezzo forte era una Via Crucis, che la pittrice Luisa Rossi aveva realizzato per l’Oratorio di Casatenovo.
Come dono la pittrice mi aveva poi lasciato un suo disegno a carboncino, con i discepoli di Emmaus in cammino. L’ho fatto incorniciare e l’ho sempre tenuto appeso nel mio studio; ma poi – nell’ultimo trasloco – è finito tra i quadri non appesi.
Tre anni fa, l’ultimo di don Davide, durante gli esercizi spirituali d’inizio anno don Marco Rondonotti ha impostato la sua riflessione: «Non ci ardeva il cuore? Memoria dell’incontro, forza della missione» su un quadro del pittore Arcabas dei discepoli di Emmaus e mi sono ricordato di questo disegno.
Sono andato a riprenderlo e, sull’emozione dei colori di Arcabas, dopo averlo copiato su un foglio A4, l’ho colorato. È un semplice pastello, senza nessun pregio. Il pregio sono state le emozioni che mi hanno spinto a colorarlo e – ora – gli auguri, che questo disegno mi suggerisce per la nostra Pasqua.
Lascio a voi la lettura del brano di Luca (Lc 24, 13-35). Mi limito ad alcuni accenni di commento del testo, che poi traduco in auguri.
«Due di loro erano in cammino». Questo «cammino» non indica solo la strada, ma la vita. E, nella vita, capita a tutti di maturare una fede diversa da quella che si aveva da bambini. A volte è solo il normale passaggio d’età e quindi la presa di distanza da una fede solo «di tradizione» o «di abitudine» … altre, invece, sono le situazioni della vita, che ci mettono in crisi: un lutto, una malattia, una incomprensione… e le tante contraddizioni in cui cadiamo.
In queste situazioni, il rischio è quello di chiudersi in sé stessi e di abbandonare la pratica religiosa.
Ora la parola di Dio non è semplicemente un testo, ma è una persona concreta: Gesù, che si fa vicino a noi, soprattutto nei momenti bui e difficili della vita, se abbiamo il coraggio di cercarlo. Allora il cuore si riscalda e ci è data una nuova possibilità di realizzazione. Per chi ha fiducia in Gesù, la sua parola e la fede in Lui aiutano ad avere il giusto orientamento e a dare unità a tutti gli avvenimenti della vita.
Il mio augurio è molto semplice. La Pasqua ci aiuti a ripartire sempre da capo, come per i discepoli di Emmaus, senza paure; ci aiuti a leggere e rileggere la Parola di Dio per riavviare la nostra sequela.
Gesù risorto ci assicura che la nostra vita non è consegnata al caso o alla fortuna, ma è custodita nelle mani paterne e amorose di Dio, come è stata la sua.
Infine – lo si vede bene dal disegno – Gesù è sempre davanti a noi, ci precede sempre, anche quando non abbiamo occhi per vederlo e riconoscerlo.
Buona Pasqua quindi a tutti voi e alle vostre famiglie, con la gioia nel cuore.
don Piero
Trasformare creativamente il male e la morte
“Don, oggi la catechista ci detto che la Pasqua è la festa più importante dell’anno”.
“Ha proprio ragione la tua catechista: ve l’ho detto anch’io la settimana scorsa, ricordi?”
“Io non c’ero settimana scorsa… Ma scusa, non è il Natale la festa più importante?”
“No caro mio, è la Pasqua!”
“Perché???”
“Perché a Pasqua noi festeggiamo Gesù che ha vinto la morte! Non è meraviglioso?”
Qualche attimo silenzio.
“Ma allora perché la gente continua a morire?”
Questa domanda, rivoltami in maniera candida ed impertinente da un bambino di 4 elementare la settimana scorsa, e che ha concluso il nostro breve colloquio senza che avessi il tempo di replicare, è forse quella che ancora ci portiamo dentro noi tutti, piccoli e grandi, specialmente quando torniamo a celebrare la Pasqua di Gesù: se Lui ha sconfitto la morte con la sua Resurrezione, perché il male continua ad essere presente nel mondo e nella nostra vita, minacciando quotidianamente quella felicità che sempre ricerchiamo e che risulta tremendamente precaria? Quella gioia e quella speranza che noi cristiani ci ostiniamo a proclamare e ci sforziamo di vivere, proprio in forza della Resurrezione di Cristo, riguarderanno solo la vita nell’aldilà? E intanto che siamo nell’aldiquà, cosa ce ne facciamo?
Per rispondere a questi interrogativi vorrei riprendere brevemente quanto ha scritto Alessandro D’Avenia, su un articolo pubblicato lunedì scorso sul Corriere della Sera. Egli ha ricordato saggiamente che la Pasqua di Gesù – attraverso la via della croce – ci mostra in modo inequivocabile la strada che Dio ha scelto per rispondere alla nostra sete infinita di Bene, di vita e di gioia: «è veramente felice solo una vita che non ignora il dolore, la sconfitta, la morte, ma che li attraversa e li supera, mostrandone le credenziali. Tommaso vuole la garanzia che il Risorto sia proprio il Crocifisso». Forse perché, aggiungo io, una felicità che nasce esclusivamente dall’assenza di male, di fatica, di sofferenza (inevitabilmente presenti nella vita di ogni uomo) non potrebbe essere davvero credibile e risulterebbe effimera. Ma noi desideriamo ed aneliamo ad una felicità decisamente più “solida”!
Nella sua Pasqua, Gesù sconfigge veramente la morte, non solo perché ci promette una Vita senza fine dopo questa vita terrena; ma anche perché fin d’ora ci abilita a vivere sapendo abbracciare ferite e limiti, per trasformare creativamente le brutture in bellezza, il male in bene, il tradimento in dono gratuito di sé, la paura in coraggio di donarsi, il fallimento in possibilità di rinascita.
Che la Pasqua di Cristo, infonda in ciascuno di noi questa arte di vivere, che porta già in sé il seme della vita eterna. Auguri di cuore!
don Antonio
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