“Ali”

È successo!

È una sorpresa il formato grande di “Ali” in questa data (di solito è la seconda domenica del mese).

È successo che qualcuno ha avuto voglia di comunicare! Sono arrivati tre contributi che pubblichiamo integralmente perché oggi per me è un giorno importante: le ali iniziano a muoversi! Forse ci vorrà ancora un po’ per imparare e volare bene… ma l’importante è cominciare! Grazie a chi ha scritto! Grazie a chi legge… e grazie allo Spirito che suscita pensieri e desideri nella nostra Comunità!

Succederà che useremo il formato grande tutte le domeniche?!

dL

Santo Niño

Domenica scorsa a s. Gabriele la comunità filippina della Diocesi ha celebrato la festa del S. Niño, a cui è molto legata, e insieme il 25° della loro presenza a Milano.

È stato proprio bello, non come spettacolo da guardare, ma come momento a cui partecipare. C’è stata una processione, durante la quale il S. Niño è stato portato attraverso le vie del quartiere, e poi una Messa solenne presieduta da mons. Franco Agnesi, Vicario generale di Milano.

C’era un grande senso di appartenenza e di testimonianza nella comunità filippina e mi faceva venire in mente quando, bambina, andavo nel meridione dai parenti di mio padre per la festa dell’Assunta. C’era tutto il paese, la gente si incontrava, stava insieme, si riannodavano rapporti, si ascoltava la banda. A San Gabriele, più modestamente, c’era un carrello con dei tamburi; ma ci hanno dato dentro con foga per tutta la processione.

Durante la Messa, molto sentita (lo si vedeva dall’attenzione e dalla compostezza), i canti erano in filippino e tutti potevano cantarli perché scorrevano su uno schermo ed erano facili da leggere. Li abbiamo cantati insieme e penso che ci abbiano fatto sentire INSIEME.

Per finire un semplice buffet preparato da loro e offerto con molti sorrisi. Bello!!!

La mattina dopo ho incrociato il nostro parroco e, sicura di una risposta affermativa, gli ho detto: “È andata bene ieri! Sei contento?”. Risposta: “Sì, da una parte. No, dall’altra.”. “Perché no?”. Con sguardo serio: “Dov’era la comunità?”. Mi sono un po’ smontata nel mio entusiasmo.

Ci ho pensato. Ed è per questo che ho cercato di mettere giù i miei pensieri e di condividerli con voi. Sì, la nostra presenza era piuttosto esigua. Innegabile! Perché?

Ho provato a fare qualche domanda in giro e ho raccolto solo impressioni e non risposte certe.

Difficoltà di comunicazione tra noi (anche tra parrocchiani), il pensare che la cosa riguardava solo i filippini, impegni personali, io a queste cose non vado…

Ho guardato nel mio profondo e ho visto che questi pensieri spesso sono anche i miei. E mi dispiace molto. Vorrei essere disponibile, attenta agli altri, accogliente… Mi piace l’immagine del cristiano che si sente fratello di tutti. Ma poi mi accorgo che nella pratica vado in altra direzione. Perché?

Non lo so. O meglio so che da sola non ci riesco. Da soli non ci riusciamo.  Ancora una volta ci vuole l’aiuto di Qualcuno, ma anche dei pochi o tanti che camminano con noi.

Sembra il fervorino finale per chi legge, ma no; è la conclusione a cui sono arrivata per me e che vale come risposta alla domanda di don Lorenzo.

Silvia Luoni

Oggetto benedetto

Perché proprio una “icona”?

Quella che domenica 27 gennaio lascerò sull’altare per la benedizione non è una icona tradizionale, anche se in casa nostra la si è sempre chiamata così: è un semplice ovale di circa 13×10 cm, con al centro la Madonna con il Bambino, forse ritagliata da un’immaginetta,  il contorno nero con intarsi in madreperla un po’ malandati, un cartoncino sul retro. Nulla di prezioso, quindi, se non la sua storia.

Nell’ottobre del 1944 giunse in Carnia, e precisamente a Verzegnis, paese natale di mio suocero, parte di un contingente di 40.000 Cosacchi, appartenenti alla cosiddetta “Armata Bianca”,  costretti a lasciare il loro Paese in quanto contrari al regime stalinista. I Nazisti, quale ricompensa per l’aiuto che i Cosacchi stavano prestando durante il conflitto, avevano promesso loro non soltanto un prossimo rientro in patria, ma avevano garantito l’Alto Friuli e la  Carnia in caso di temporanea impossibilità a raggiungere lo scopo.

È facile immaginare lo sgomento della popolazione locale nel vedere un pope, un atamano (capo politico), un’orda di gente affamata, cavalli, mucche e persino cammelli da nutrire. Fu un inverno di miseria e di paura, le scorribande degenerarono ben presto in atti violenti, come in tutte le guerre. In ogni casa di  Verzegnis – anche in quella dei miei suoceri – i Cosacchi requisivano almeno una stanza con l’obbligo per gli ospitanti di sfamare persone e animali. Con il passare dei mesi si cercava tuttavia di instaurare un rapporto di quasi-convivenza, per cercare di sopravvivere: la popolazione assisteva alle lunghissime funzioni religiose tenute dal pope e alle parate guidate dall’atamano, nelle quali i Cosacchi si esibivano da abili cavallerizzi, i bambini giocavano assieme per strada.

Nel maggio del 1945, però, di fronte all’avanzata degli Alleati, i Cosacchi persero la speranza di avere la Carnia tutta per loro, contrariamente alle promesse fatte dai Nazisti. Attirati da altre lusinghe furono obbligati ad incolonnarsi con i loro carri, i cavalli e i cammelli e ad attraversare il faticosissimo passo di Monte Croce Carnico. Forse sperarono fino all’ultimo di raggiungere la loro Patria, ma arrivati nella valle della Drava furono sterminati in massa, dai vincitori e dai vinti.

Ma torniamo alla “icona”: mia suocera mi raccontò che quella mattina di maggio la donna cosacca, radunate in fretta e furia le sue poche cose, gliela regalò in segno di ringraziamento per quanto aveva fatto. Piangeva come se avesse presagito quale sarebbe stata la sorte sua e di tutta la sua gente. Allora mi sono chiesta: perché non fare benedire proprio questa icona, a ricordo e in suffragio di tutti quei morti, colpevoli soltanto di aver rincorso un ideale di pace, peraltro mai raggiunto?

Serena Vettori

Pioggia… vento… pannelli solari

Fine anno 2018. È il secondo anno che vado a portare la benedizione natalizia alle famiglie del mio quartiere. Il primo anno (fine 2017), vale a dire la prima volta, mi sono sentita un poco stonata…

Ma quest’anno, con il bellissimo percorso preparato dai sacerdoti è stato tutto completamente diverso. È stato di grande aiuto e mi sono sentita pronta ad affrontare con fiducia l’affannoso impegno.

Ci sono state  molte porte chiuse… persone che hanno detto non sono credente… ragazzi studenti  di passaggio, indifferenti… porte sontuosamente abbellite ma non accessibili.

Ma ecco!!! A un certo punto ci apre una giovane famiglia, con un bimbo piccolo che ci viene incontro, casa accogliente, ci fa entrare e ci porta verso una stanza dove c’è una tavola con una bella tovaglia, una candela accesa,( a me piacciono molto le candele accese) la Bibbia Gerusalemme che ormai conosco.

Dentro di me ho detto: ma che bello!!! Che bel finale!!!

C’è sempre uno spiraglio di luce che ci fa vedere Gesù, nostro Signore e Padre, uomo tra gli uomini.

Perché ho intitolato questo mio pensiero Pioggia vento e pannelli solari?

Perché vorrei che tutti fossero inondati (compresa me) di pioggia e vento, che lava, pulisce e spazza via dalle nostre anime cattiveria, indifferenza, male, per lasciare posto al bene e alla bontà per cui siamo stati creati.

Pannello solare perché assorbe il calore del sole per riscaldare le nostre case, io vorrei assorbire tutto l’amore possibile di Gesù per poterlo trasmetterlo agli altri, alla gente che mi è accanto. Questo vale per tutti.

E secondo me tutti possono farcela!!! Grazie a Dio.

Clelia Bazzini

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